Capacità di agire delle persone con disabilità, non autosufficienza e problematiche del “dopo di noi”.
L’osservatorio nazionale sulle persone con disabilità, di cui alla legge n°18/2009 di ratifica della Convenzione ONU, dopo l’approvazione del “Piano di azione biennale” ha ripreso la sua attività formalizzando la costituzione di gruppi di lavoro con funzioni consultive rispetto all’Assemblea dello stesso Organismo e al relativo Comitato tecnico scientifico.
In particolare, il secondo gruppo di lavoro ha avviato la discussione su tre problematiche specifiche: tutela giuridica delle persone con disabilità con riferimento alla capacità di agire, diritti delle persone disabili non autosufficienti, problematiche relative al c.d. “dopo di noi”.
Si tratta di questioni strumentali e strutturali rispetto alla tutela della disabilità grave e gravissima su cui è opportuno avviare un confronto anche a distanza con le altre Associazioni dei disabili, chiamate a dare il proprio contributo sulle problematiche così come innanzi delineate.
Di seguito alcune considerazioni sui detti argomenti in discussione.
Amministratore di sostegno, interdizione, inabilitazione e incapacità naturale.
Il sistema codicistico, vigente fino al 2004, più che essere rivolto alla tutela delle “persone disabili” era finalizzato alla protezione dei soggetti compromessi nella loro capacità di intendere e di volere, soprattutto facendo riferimento agli aspetti patrimoniali del loro agire, divesificando le situazioni a seconda che il destinatario versasse in ipotesi di abituale infermità di mente che lo rendesse incapace di provvedere ai propri interessi, di incapacità affievolita, anche in conseguenza di abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti, di incapacità naturale, quale posizione soggettiva considerata a prescindere da un riconoscimento formale.
La logica codicistica, tutta impostata sulla tutela della capacità di agire in ambito patrimoniale dei soggetti disabili intellettivi, è stata integrata dalla legge n. 6/2004 che ha introdotto nell’Ordinamento italiano l’Amministrazione di sostegno.
Si tratta di un istituto che è stato affiancato a quelli innanzi indicati ma diretto a garantire una “adeguata protezione” delle persone incapaci, considerando tali sia quelli psichici e che quelli fisici, sia situazioni di incapacità totale e permanente che parziale o temporanea.
La ratio della legge è tutta incentrata sulla protezione della persona sia disabile fisico che psichico, partendo dalla garanzia della capacità del soggetto disabile al quale vanno sottratti ambiti di azione a secondo della particolarità e della tipologia della disabilità.
In questa ottica risulta opportuno rivisare gli istituti dell’interdizione e dell’inabilitazione sia in quanto rientranti in una logica di tutela solo patrimoniale del soggetto, sia in quanto creano interferenze non facilmente risolvibili con l’amministrazione di sostegno.
A tal fine occorre valutare la possibilità di introdurre una disciplina unitaria che, nell’ambito delle graduazioni della capacità e dell’autodeterminazione dei soggetti, sottragga agli stessi la possibilità di compiere atti lesivi dei loro interessi, patrimoniali e non, affidati ad un tutor che operi sulla base di paletti fissati dal Giudice nel caso specifico e sotto il suo controllo.
Una attenzione particolare meritano le persone che versano in situazioni di disabilità intellettiva grave e abituale, per i quali le norme di protezione devono tendere ad evitare quella “morte civile” cui spesso è stato ricollegato l’istituto dell’interdizione.
In tal senso il punto di partenza può essere costituito dalle numerose decisioni della Cassazione e dei Giudici di merito che si sono succedute dopo la sentenza della Corte costituzionale n. 440 del 30 novembre 2005, che ha affrontato il vaglio di legittimità della legge n. 6/2004.
Non autosufficienza e dopo di noi.
Si tratta degli aspetti forse più critici da affrontare nell’ambito delle questioni relative alla tutela della disabilità.
Innanzitutto si ritiene opportuno modificare l’approccio a queste problematiche: la istituzione di fondi per la disabilità grave e il finanziamento di progetti di vita indipendente costituiscono forme di intervento inadeguate, insufficienti perché occasionali ed episodiche.
La disabilità grave e gravissima, anche con riferimento alle problematiche del “dopo di noi”, necessita di un approccio sistemico che porti alla individuazione e alla strutturazione di un sistema di diritti soggettivi stabili, recepiti e garantiti dall’Ordinamento giuridico.
Si tratta di individuare livelli essenziali di prestazioni di servizi e di prestazioni economiche che, unitamente al sistema rivisitato dei livelli essenziali di assistenza sanitaria, affidati allo Stato ai sensi degli articoli 3, 32, 38 e 117, comma 2, lettera m), mirino a costruire un sistema di protezione minima, garantita su tutto il territorio nazionale. A ciò deve aggiungersi un sistema integrato di interventi, ulteriori rispetto a quelli gestiti dallo Stato, affidato alle Regioni e agli Enti locali.
Le esperienze del Friuli Venezia Giulia e della Toscana costituiscono modelli da estendere alle altre parti del Paese: l’assegno per l’autonomia, il contributo per l’aiuto familiare, il sostegno alla vita indipendente, il sostegno a progetti per i disabili gravi, hanno dimostrato la capacità di elevare le condizioni di vita dei disabili gravi.
Due però devono essere i principi su cui tale riforma di sistema deve poggiare: libertà di scelta del disabile grave o gravissimo, sostegno alla famiglia come luogo di elezione per la tutela e la vita dei disabili.
Il disabile deve essere messo in condizione di decidere le forme di tutela che ritiene più adeguate, garantendo al massimo la persona umana, la sua libertà e dignità.
I pubblici poteri non devono essere invasivi: devono favorire il ruolo della famiglia, delle Associazioni di volontariato, delle Associazioni di categoria e di promozione sociale nonché le iniziative di economia sociale, intervenendo direttamente solo laddove le loro azioni risultino insufficienti o non adeguate o inidonee rispetto agli scopi da perseguire.
Un moderno Stato sociale deve porre al primo posto la tutela dei più deboli per garantire attraverso forme di solidarietà il riequilibrio nella società civile.
Ma la costruzione di un sistema di diritti ed interventi risulta insufficiente se non accompagnata dallo sviluppo di una cultura umanistica e solidale da far riemergere in una società che si è abbandonata al materialismo e all’egoismo, che è diventata nichilista stravolgendo quei valori umani e di comunità che hanno sempre caratterizzato la storia del nostro Paese.