NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

Definizioni

I cookie sono piccoli file di testo che i siti visitati dagli utenti inviano ai loro terminali, ove vengono memorizzati per essere poi ritrasmessi agli stessi siti alla visita successiva. I cookie delle c.d. "terze parti" vengono, invece, impostati da un sito web diverso da quello che l'utente sta visitando. Questo perchè su ogni sito possono essere presenti elementi (immagini, mappe, suoni, specifici link a pagine web di altri domini, ecc.) che risiedono su server diversi da quello del sito visitato.

Tipologie di cookie

In base alle caratteristiche e all'utilizzo dei cookie si possono distinguere diverse categorie:

- Cookie tecnici. I cookie tecnici sono quelli utilizzati al solo fine di "effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica, o nella misura strettamente necessaria al fornitore di un servizio della società dell'informazione esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente a erogare tale servizio" (cfr. art. 122, comma 1, del Codice).Essi non vengono utilizzati per scopi ulteriori e sono normalmente installati direttamente dal titolare o gestore del sito web. Possono essere suddivisi in cookie di navigazione o di sessione, che garantiscono la normale navigazione e fruizione del sito web; cookie analytics, assimilati ai cookie tecnici laddove utilizzati direttamente dal gestore del sito per raccogliere informazioni, in forma aggregata, sul numero degli utenti e su come questi visitano il sito stesso; cookie di funzionalità, che permettono all'utente la navigazione in funzione di una serie di criteri selezionati al fine di migliorare il servizio reso allo stesso. Per l'installazione di tali cookie non è richiesto il preventivo consenso degli utenti, mentre resta fermo l'obbligo di dare l'informativa ai sensi dell'art. 13 del Codice, che il gestore del sito, qualora utilizzi soltanto tali dispositivi, potrà fornire con le modalità che ritiene più idonee.

- Cookie di profilazione. I cookie di profilazione sono volti a creare profili relativi all'utente e vengono utilizzati al fine di inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate dallo stesso nell'ambito della navigazione in rete. In ragione della particolare invasività che tali dispositivi possono avere nell'ambito della sfera privata degli utenti, la normativa europea e italiana prevede che l'utente debba essere adeguatamente informato sull'uso degli stessi ed esprimere cosè il proprio valido consenso. Ad essi si riferisce l'art. 122 del Codice laddove prevede che "l'archiviazione delle informazioni nell'apparecchio terminale di un contraente o di un utente o l'accesso a informazioni già archiviate sono consentiti unicamente a condizione che il contraente o l'utente abbia espresso il proprio consenso dopo essere stato informato con le modalità semplificate di cui all'articolo 13, comma 3" (art. 122, comma 1, del Codice). Il presente sito non utilizza cookie di profilazione.

Cookie di "terze parti"

Visitando il presente sito web si potrebbero ricevere cookie da siti gestiti da altre organizzazioni ("terze parti"). Un esempio è rappresentato dalla presenza dei "social plugin" per Facebook, Twitter, Google+ o LinkedIn, oppure sistemi di visualizzazione di contenuti multimediali embedded (integrati) come ad esempio Youtube, Flikr. Si tratta di parti generate direttamente dai suddetti siti ed integrati nella pagina web del sito ospitante visitato. La presenza di questi plugin comporta la trasmissione di cookie da e verso tutti i siti gestiti da terze parti. La gestione delle informazioni raccolte da "terze parti" è disciplinata dalle relative informative cui si prega di fare riferimento. Per garantire una maggiore trasparenza e comodità, si riportano qui di seguito gli indirizzi web delle diverse informative e delle modalità per la gestione dei cookie.

Facebook informativa: https://www.facebook.com/help/cookies/ 
Facebook (configurazione): accedere al proprio account. Sezione privacy. 
Twitter informative: https://support.twitter.com/articles/20170514 
Twitter (configurazione): https://twitter.com/settings/security 
Linkedin informativa: https://www.linkedin.com/legal/cookie-policy 
Linkedin (configurazione): https://www.linkedin.com/settings/ 
Youtube\Google+ informativa: http://www.google.it/intl/it/policies/technologies/cookies/ 
Youtube\Google+ (configurazione): http://www.google.it/intl/it/policies/technologies/managing/ 
Pinterest informativa\configurazione https://about.pinterest.com/it/privacy-policy 
Flikr\Yahoo informativa http://info.yahoo.com/privacy/it/yahoo/cookies/details.html 
Flikr\Yahoo (configurazione) http://info.yahoo.com/privacy/it/yahoo/opt_out/targeting/details.html

Cookie analytics

WebTrends

Al solo fine di monitorare e migliorare le prestazioni del sito ci si avvale di un prodotto di mercato di analisi statistica per la rilevazione degli accessi al sito. Esso può ricorrere all'utilizzo di cookies, permanenti e non, allo scopo di raccogliere informazioni statistiche e sui "visitatori unici" del sito. I cookies, definiti come "Unique Visitor Cookies", contengono un codice alfanumerico che identifica i computer di navigazione, senza tuttavia alcuna raccolta di dati personali.

Google Analytics

Il sito include anche componenti trasmesse da Google Analytics, un servizio di analisi del traffico web fornito da Google, Inc. ("Google"). Tali cookie sono usati al solo fine di monitorare e migliorare le prestazioni del sito. Per ulteriori informazioni, si rinvia al link di seguito indicato:

https://www.google.it/policies/privacy/partners/

L'utente può disabilitare in modo selettivo l'azione di Google Analytics installando sul proprio browser la componente di opt-out fornito da Google. Per disabilitare l'azione di Google Analytics, si rinvia al link di seguito indicato:

https://tools.google.com/dlpage/gaoptout

Durata dei cookie

Alcuni cookie (cookie di sessione) restano attivi solo fino alla chiusura del browser o all'esecuzione dell'eventuale comando di logout. Altri cookie "sopravvivono" alla chiusura del browser e sono disponibili anche in successive visite dell'utente. Questi cookie sono detti persistenti e la loro durata è fissata dal server al momento della loro creazione. In alcuni casi è fissata una scadenza, in altri casi la durata è illimitata.

Gestione dei cookie

L'utente può decidere se accettare o meno i cookie utilizzando le impostazioni del proprio browser. 
Attenzione: con la disabilitazione totale o parziale dei cookie tecnici potrebbe compromettere l'utilizzo ottimale del sito. 
La disabilitazione dei cookie "terze parti" non pregiudica in alcun modo la navigabilità. 
L'impostazione può essere definita in modo specifico per i diversi siti e applicazioni web. Inoltre i browser consentono di definire impostazioni diverse per i cookie "proprietari" e per quelli di "terze parti". A titolo di esempio, in Firefox, attraverso il menu Strumenti->Opzioni->Privacy, è possibile accedere ad un pannello di controllo dove è possibile definire se accettare o meno i diversi tipi di cookie e procedere alla loro rimozione. In internet è facilmente reperibile la documentazione su come impostare le regole di gestione dei cookies per il proprio browser, a titolo di esempio si riportano alcuni indirizzi relativi ai principali browser:

Chrome: https://support.google.com/chrome/answer/95647?hl=it 
Firefox: https://support.mozilla.org/it/kb/Gestione%20dei%20cookie 
Internet Explorer: http://windows.microsoft.com/it-it/windows7/how-to-manage-cookies-in-internet-explorer-9 
Opera: http://help.opera.com/Windows/10.00/it/cookies.html 
Safari: http://support.apple.com/kb/HT1677?viewlocale=it_IT

Il responsabile del trattamento dei dati è A.N.M.I.C. Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili per qualsiasi informazione inviare una mail a webmaster@anmic.it

 

A A A

Blog

 

Il passaggio d’epoca che ci attraversa è uno stimolo per un serio ripensamento delle politiche che permettano ad un numero sempre maggiore di persone di stare bene e stare meglio. Le persone stanno bene quando sono nelle condizioni di poter compiere delle scelte, quando possono esercitare la propria libertà sostanziale, quando possono realizzare ciò a cui danno valore, quando possono esprimere le proprie potenzialità, quando si sentono incluse nella società, quando hanno fiducia nelle istituzioni, quando si sentono supportate in momenti di difficoltà, quando possono esprimersi con generosità.

I radicali mutamenti socio-economici in corso (invecchiamento demografico, nuovi modelli di famiglia, flessibilità del lavoro, crescita delle disuguaglianze, migrazioni, debito pubblico, ecc..) caratterizzano gli odierni sistemi di welfare per la loro insostenibilità, in particolare sotto l'aspetto economico-finanziario, e la loro inadeguatezza, per l'incapacità di dare risposte efficaci alle nuove tensioni sociali e per il ricorso ancora evidente ad un approccio di tipo assistenzialistico. Inadeguatezza e insostenibilità sono due cose tra loro connesse in un perverso circolo vizioso, perché considerare le persone in difficoltà semplici consumatori passivi di servizi significa creare dipendenza anziché benessere ed alimenta un'insostenibile rincorsa tra bisogni e costi sempre crescenti. E' necessario anzitutto adottare una nuova visione che ponga al centro la persona e la sua rete di relazioni anziché le tipologie di servizi di cui necessita, sposando una logica di inclusione e coesione  sociale. Rispetto ai più tradizionali interventi sulle emergenze sociali, sostenere la coesione sociale significa infatti valorizzare le relazioni tra i membri della società e promuovere l'assunzione collettiva di responsabilità. Implica inoltre lo sforzo congiunto per costruire strategie di lungo periodo, precisando obiettivi strategici e definendo contenuti in modo approfondito, trasparente, concreto. Più una società è coesa, maggiori sono le possibilità di contrastare gli effetti negativi dei mutamenti in corso: i programmi di coesione sociale rappresentano la condizione necessaria per lo sviluppo locale, il contesto in cui si possono concretamente ridurre i processi di esclusione.

 Il confronto con il mondo della disabilità è possibile nella vita di ciascuno di noi, non solo per coloro che già si occupano di persone diversamente abili per motivi professionali, nelle attività di volontariato o perché direttamente coinvolti in impegnative e spesso dolorose esperienze personali o familiari, ma anche per i cosiddetti “abili”. La storia stessa dell’esistenza porta, nella maggior parte dei casi, a condizioni di svantaggio.

Dalla scomposizione letterale del termine disabilità ci si rende conto di essere di fronte ad una situazione di limitazione, nel senso di “mancanza di qualcosa” che viene messo in risalto con il suffisso “dis”, ma allo stesso tempo abile e cioè capace in e capace di…Entrano in gioco, quindi, le abilità e le capacità che ogni essere umano possiede, indipendentemente dalla sua specificità e particolarità. Non bisogna perdere di vista il fatto che, ogni essere umano, porta con se un suo “mondo”, con all’interno vissuti personali, stile di vita, carattere, ecc; per questo motivo ognuno di noi è unico e speciale con conseguente diversità. In questo senso si può intendere la diversità come una risorsa, in termini di crescita e arricchimento personali. Solo attraverso la conoscenza e l’accettazione incondizionata dell’altro, come presupposto dell’etica della gioia, esiste confronto e riflessione. Molti di noi considerano l’identità di una persona diversamente abile come un tesoro che non va scoperto, ma lasciato sepolto. Questa opinione include una quasi certezza: la vita di relazioni non potrà che recare danni a una persona diversamente abile. Si potrebbe anche dire che, la qualità delle relazioni, sia determinata dalla presenza della persona disabile a priori. La paura che il confronto possa creare tensioni porta a considerare idilliaca la condizione che colloca il disabile nel limbo dell’innocenza e dell’ignoranza. Se ci rendiamo conto che l’uomo costruisce la propria identità, la sua storia, attraverso il rapporto con l’altro e che gli esseri umani riescano a “coesistere a condizioni di riconoscersi tutti uomini ma in modo diverso”, non possiamo non ribadire che, la cultura della “cancellazione” della diversità, è una cultura dell’esclusione, del pietismo, che discrimina fino a segregare la persona con diverse abilità. Nel corso degli anni, certo, dei passi in avanti sono stati fatti, a partire dalla trasformazione della parola handicap, che dava l’idea di menomazione, impedimento, in “diversamente abile” che, in un certo senso, potrebbe andare nella direzione di persona capace di dare e trasmettere qualcosa alla società e agli altri, anche se quel “diversamente” appare sempre una discriminante. Ma ciò sarebbe di poco conto se l’emancipazione del disabile verso una normale integrazione nella società avvenisse nel quotidiano, nei normali rapporti di relazione tra persone. Purtroppo, ancora, siamo lontani dall’imparare a vedere l’handicap come risorsa e non come sofferenza; solo ultimamente molte famiglie, davanti a una situazione difficile, si rimboccano le maniche e riescono a gioire dei passi fatti e dei traguardi raggiunti. L’obiettivo vincente sarebbe quello di riuscire a eliminare tutti quegli svantaggi che la struttura e l’organizzazione della società pone davanti alla disabilità, in maniera da passare dalla cultura dell’handicap a quella della normalità, ovverosia che afferma la diversità di ogni essere umano come condizione normale, quindi risorsa positiva, patrimonio di cultura, capacità, attitudini, vitalità. Dal principio di non discriminazione sancito dal trattato di Amsterdam (art. 13) può e deve derivare una politica attenta a valorizzare, nel concreto, la disabilità come risorsa umana, morale, sociale, economica, culturale. Alla giusta e doverosa tutela dei diritti (primo fra tutti il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione), si deve affiancare un concreto pacchetto di iniziative volte a garantire la libertà di vivere come tutti. Questa difficoltà di fare “il salto di qualità” è più marcato al meridione e, secondo le mie constatazioni, soprattutto fra le persone che si possono considerare mature, anagraficamente, ma non nell’approccio con questo “mondo”. Certo, non è mia intenzione generalizzare, perché sono convinta che la cultura di un popolo progredisce in base all’aggiornamento e allo sviluppo mentale, derivante dal più alto tasso di preparazione scolastica e di esperienza di comunicazione con gli altri. Ritengo, però, che siamo ancora molto lontani dall’orientare la nostra mente verso la visuale del mondo disabile come risorsa e dal porre le condizioni affinché vengano predisposte specifiche campagne di comunicazione, per promuovere una nuova immagine del mondo della disabilità; disabilità come risorsa, solidarietà, partecipazione, pari opportunità, non discriminazione. Mi piace menzionare una pensiero di Antonio Guidi, ex ministro della famiglia e della solidarietà sociale, che descrive su se stesso il concetto di disabilità intesa come risorsa: "Ho sempre considerato la mia disabilità come una risorsa, in quanto mi ha portato a dovermi misurare con i miei limiti e le mie potenzialità. Di fronte a qualsiasi azione quotidiana, dalla più banale come salire un gradino o giocare una partita di pallone, alla più grande come aprirmi all’amore, forse più degli altri mi sono dovuto domandare: ce la potrò fare? Questo costante interrogativo mi ha portato ad implementare le mie capacità. Non potendo camminare velocemente ho avuto la possibilità di soffermarmi con più attenzione su tante cose, e poi ho potuto assaporare il piacere della conquista, che non ho mai perso, sia in ambito professionale che soprattutto in quello sentimentale. Insisto sui sentimenti perché penso che d’amore si viva". Le persone con disabilità possono diventare soggetti socialmente attivi e dobbiamo dar loro la possibilità di diventarlo. Il dovere di tutti noi è quello di farci carico della loro stessa volontà e di assumerla socialmente, politicamente, eliminando qualsiasi ostacolo psicologico, giuridico, fisico che tenda a isolarla, abbattendo il pregiudizio, la negligenza che nasconde, umilia ed oltraggia. E’ imprescindibile che si abbandoni l’idea dell’assistenzialismo e si guardi alle persone diversamente abili in maniera attiva, senza pietismo, ma come risorse positive della comunità. Non dovrebbe mai mancare il rispetto e l’attenzione verso chi, da una posizione differente e svantaggiata, ci dimostra di essere in grado di insegnarci volontà e forza vitale. Il valore della disabilità vista come risorsa e non come limite della società sarà un nuovo impegno per l’associazione “Roccella in movimento” e per Chiara che, insieme a tutte le persone che si vorranno unire, cercheranno di diffondere e promuovere una reale integrazione delle persone disabili nella nostra società, consapevoli che, solo così, sarà possibile una maggiore crescita per i singoli e tutta la comunità.

Con la presente si riassume la circolare inps n° 127 del 8 luglio 2016 inerente la proroga relativa alla validità dei verbali di visite di revisione.

 Con la circolare n. 127/2016 l’INPS è intervenuto a chiarire quanto già disciplinato dall’art. 25 comma 6 bis D.L. 24.06.2014 n. 90 conv. in L. n. 114 dell’11.08.2014, in merito alla proroga degli effetti del verbale, rivedibile, oltre il termine di  scadenza apposto; nonché ha precisato quanto previsto dal comma 4 lett. a) del medesimo art. 25, che ha dimezzato i termini del rilascio della certificazione provvisoria, da 90 a 45 giorni.

Le norme in oggetto riguardano la gestione dei benefici spettanti ai lavoratori dipendenti, sia in caso di disabilità grave degli stessi, sia in qualità di soggetti che prestano assistenza ai disabili gravi.

L’art. 25 comma 6 bis d.l. 90/2014 dispone che “Nelle more della effettuazione delle eventuali visite di revisione e del relativo iter di verifica, i minorati civili e le persone con handicap in possesso di verbali in cui sia presente la rivedibilità, conservano tutti i diritti acquisiti in materia di benefici, prestazioni e agevolazioni di qualsiasi natura. La convocazione a visita … è di competenza dell’INPS”.

L’INPS ha chiarito che, per continuare a fruire dei permessi ex art. 33 commi 3 e 6 della L. 104/92, nel periodo compreso tra la data di scadenza del verbale rivedibile ed il completamento dell’iter sanitario di revisione, non è necessario presentare una nuova domanda.

La nuova domanda va invece comunque presentata per

  • Prolungamento del congedo parentale ex art. 33 co. 1 d. lgs. 26.03.2001 n. 151;
  • Riposi orari, alternativi al congedo parentale;
  • Congedo straordinario ex art. 42, co.5 d. lgs 151/2001
  • Se il lavoratore presti attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro diverso da quello indicato nella domanda a suo tempo presentata.

Nel caso l’esito del verbale sia di conferma, ciò verrà dall’INPS comunicato agli interessai (datore di lavoro, lavoratore, disabile), senza ulteriori incombenti, fatto salvo quanto già precisato per coloro che comunque una nuova domanda dovranno presentarla.

Nel caso l’esito sia di mancata conferma, la decorrenza sarà dal giorno successivo alla data di definizione del nuovo verbale.

Nel caso di assenza a visita, espletati i controlli sul buon esito della comunicazione postale, l’INPS informerà con raccomandata A.R. il disabile che:

  • se non giustificherà entro 60 giorni l’assenza a visita o, nel caso in cui la giustificazione non sarà ritenuta adeguata, si procederà alla eliminazione della posizione amministrativa del disabile;
  • se le motivazioni verranno valutate come adeguate, si procederà ad una seconda convocazione. Il disabile che non si presenti a tale seconda convocazione subirà la cessazione degli effetti dell’autorizzazione a far data dall’assenza alla prima visita di revisione.

Coloro i quali sono tenuti a presentare una nuova domanda di autorizzazione (vedi sopra), nel caso di mancata conferma dei benefici saranno tenuti alla restituzione delle prestazioni dalla data di definizione del nuovo verbale.

I lavoratori per i quali l’INPS provvede al pagamento diretto dei benefici (es. lavoratori agricoli, lavoratori dello spettacolo con contratto a termine), possono usufruire dei benefici nelle more dell’iter sanitario, solo a seguito di presentazione della domanda.

Il cittadino che ha richiesto l’accertamento dello stato di disabilità in situazione di gravità da almeno 45 giorni (invece dei vecchi 90 giorni), può richiedere un accertamento in via provvisoria al medico specialista della patologia denunciata, competente presso la ASL del disabile, che sarà efficace fino all’accertamento definitivo della Commissione. Salvo l’impegno alla restituzione delle prestazioni nel caso a conclusione del procedimento queste risultassero indebite.

Una nuova sentenza, della quale per alcuni versi  davvero non ne avvertivamo il bisogno, ha suscitato tanto clamore da meritare le pagine dei quotidiani economico-giuridici e non solo, ma che, nella sostanza, non ha fatto altro che confermare principi ovvi e digeriti, adottando una soluzione che altrimenti non avrebbe potuto essere. A volte l’ostinazione delle parti e degli avvocati scatena una deriva masochista fino a giungere al punto di vedersi rifiutare ciò che già sappiamo non essere esigibile. Può mai il datore di di lavoro mantenere in piedi una postazione lavorativa improduttiva, e da sopprimere, solo perché il dipendente che assiste il disabile non vuole o non può andare altrove? Anche il buon senso ci direbbe di no! Se il datore di lavoro sopprime il posto o la postazione, il dipendente pur anche beneficiario della legge 104/92 deve trasferirsi altrove, ecco perché qualcuno ha titolato “Per chi assiste un disabile possibile il trasferimento”. Questo in poche parole e senza tecnicismi, il succo della situazione.

Invece commentiamo ora la sentenza n. 12729/2017 licenziata dalla Cassazione ed accolta con tanto fragore. Essa trae origine dall’impugnativa di un trasferimento illegittimo e, l’appello ai dettami dell’art 33 comma 5 della legge 104/92 (il quale recita testualmente “il genitore o il familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine entro il terzo grado handicappato ha diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”), è soltanto uno dei motivi che ha spinto la ricorrente (capo tecnico radiologo di una ASL capitolina), ad impugnare il trasferimento.  Se vogliamo, è il motivo residuale, considerando che l’intera vicenda  è da agganciare ad un pregresso giudizio penale. Giudizio definito, nelle more, dalla stessa Cassazione e volto a censurare il trasferimento come atto ritorsivo per il rifiuto della dipendente di sottoporsi alle offerte del superiore gerarchico. Il motivo è stato considerato dalla Corte “una censura, tardivamente proposta, e pertanto inammissibile”. Così come inammissibile per difetto di rilevanza è stato ritenuto il motivo relativo alla distanza dei due presìdi (quello soppresso e quello di nuova destinazione), essendo contemplato nel CCNL del settore sanità l’utilizzazione del personale in strutture situate nel raggio di 10 km dalla sede di assegnazione.

In definitiva, l’unico motivo ammissibile, ma non fondato, era quello relativo alla circostanza che il dipendente prestava assistenza ad un familiare disabile. Quindi, la suprema Corte non ha dettato alcuna linea innovativa se non quella di ripetersi su quanto affermato con la sentenza del 2012, la n. 25379, laddove chiarisce che la disposizione di cui all’art. 33 comma 5 della legge 104/92 “deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicché il trasferimento del  lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello (del disabile), provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive ed urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte”. Nel caso che ci occupa le esigenze aziendali effettive c’erano tutte, consistenti nella chiusura del servizio di radiologia presso il presidio di provenienza e nella vacanza del posto attinente al profilo della ricorrente,  presso il presidio di destinazione.

La conseguenza della vicenda in oggetto è una vera riaffermazione da parte della Corte di Cassazione dei diritti dei disabili e dei loro familiari lavoratori che li assistono, ricomprendendovi anche il caso in cui la disabilità dell’assistito non sia grave.

L’occasione ci è invece propizia per rammentare che, chi assiste un disabile riconosciuto tale ai sensi dell’art. 3 comma 3 l. 194/92, ha il diritto di richiedere fino a  tre giorni di permesso mensile oppure, come chiarito dalle circolari INPS succedutesi nel tempo, una o due ore di permesso giornaliero a seconda dell’orario di lavoro, fino ad un massimo di 18 ore mensili.  I permessi spettano ai disabili in situazione di gravità; ai genitori, anche adottivi o affidatari, di figli disabili in situazione di gravità; al coniuge, parte dell’unione civile, convivente di fatto, parenti e affini entro il 2° grado di familiari disabili in situazione di gravità o entro il 3° grado in casi particolari.  Non esistono al riguardo termini ed obblighi preventivi di programmazione. Ci si affida alle esigenze del lavoratore ed alla sensibilità dello stesso e del datore di lavoro, con la facoltà di organizzarsi, ove possibile, con congruo anticipo, se trattasi di permessi per attività programmate, fermo restando, in caso si assoluta necessità, la possibilità di fruire del permesso giornaliero ad horas.

presidente1Quando un uomo si trova a compiere 60 anni, è normale che arrivi ad un momento importante della sua vita e si trovi ad affrontare un bilancio di ciò che ha fatto e di ciò che desidererebbe fare ancora. La vita di una Associazione ha una unica grande differenza con quella di un uomo: mentre la seconda, inevitabilmente, ha un termine, la prima continuerà anche dopo, quando non ci saremo più e dunque la nostra responsabilità nei confronti di un’Associazione come la nostra, è la stessa che abbiamo nei confronti dei nostri figli.

Perché ciò che abbiamo fatto lo abbiamo fatto per loro e vorremmo che tutti i nostri sforzi andassero almeno a migliorare la vita di chi ci succederà. L’ANMIC compie quest’anno 60 anni e per me non è solo l’onore che mi deriva dalla carica che ricopro ma anche un onore “personale” quello di poter guardare indietro ed affermare con certezza che questi decenni sono stati ricchi di grandi imprese, grandi battaglie, grandi soddisfazioni.

È inutile dire che, come ogni buon padre di famiglia, anche per chi guida una organizzazione così importante ci sono dei momenti di difficoltà, non dico rimpianti, ma certamente desideri ancora latenti, voglia di guardarsi indietro per ammirare ciò che si è fatto, ma anche necessità di guardare avanti come un esploratore che ha visto tutti i continenti ma capisce che il mondo ha ancora tanto da offrirgli; ecco, vorrei che per tutti noi lo spirito fosse ancora questo: quello di un esploratore che tanto ha viaggiato ma che vuole far crescere chi lo seguirà con l’assoluta certezza di non lasciare mai nulla indietro, con la caparbietà di un miglioramento costante, come un calciatore che ha vinto tutto ma vuole ancora stupire e fare gol.

Quando tutto questo nacque, molti di noi non erano ancora nati; il Paese veniva da uno dei peggiori periodi che la storia dell’uomo abbia mai conosciuto e non solo l’Italia ma tutto il continente, forse tutto il mondo, usciva da un conflitto che aveva devastato gli uomini nell’anima, ancor prima che nel corpo. Erano gli anni in cui tutto era da ricostruire e, forse, l’uomo aveva dentro di sé un duplice sentimento che lo portava da un lato a piangere per tutto ciò che aveva visto nei terribili anni precedenti, ma che lo spronava, dall’altro, a voler uscire dal tunnel della fame, della guerra, dell’angoscia.

Ed ecco allora che, come ogni buon padre, ci si rimbocca le maniche e si guarda avanti non tanto per noi quanto per dare un futuro migliore a chi si ama e che verrà dopo. Il Paese usciva distrutto, a pezzi, da un conflitto devastante; la gente aveva fame nel senso vero della parola. Molti mendicavano all’angolo delle strade e delle chiese. Erano gli anni in cui tutto andava ricostruito e sembrava impossibile che un gruppo di uomini, forse più sensibili di altri, decidessero di fare qualcosa per dare un futuro a tutti coloro che erano usciti martoriati dal decennio precedente.

È il 1956, l’anno in cui Roma è coperta da una fitta nevicata. Ci si vede a Taranto, chissà forse casualmente, per quel destino che unisce gli uomini, come in un film già scritto: 11 persone fondano l’ANMIC e danno vita a quella che per molti sarà non solo l’organizzazione dei disabili, ma lo scopo della loro vita. Il momento è di quelli solenni e forse neanche loro sono pienamente consapevoli che, da quel giorno, quei pochi fogli stilati davanti a un notaio daranno vita all’organizzazione più importante e, storicamente, più attiva sul territorio nazionale per la difesa di chi, in quel momento, non aveva nulla: non aveva assistenza, non aveva futuro, non aveva speranze, non aveva organizzazione.

Ed ecco allora i primi passi, proprio in questa direzione: bisogna darsi un’organizzazione! È quello che viene fatto nello spazio di un tempo che oggi sembra a noi lontanissimo, una intuizione che per loro si tradusse immediatamente in una serie di incontri, di avvenimenti, di congressi, in una parola “il riconoscimento di esserci”: l’ANMIC non è più una realtà stilata asetticamente sulla carta di un notaio, ma l’organizzazione dei disabili che fino a quel momento nessuno aveva visto, o forse non avevo voluto vedere.

È vero: tutti eravamo poveri, ma qualcuno lo era più di altri, qualcuno che non aveva più neanche il corpo né lo spirito integri per poter lottare, qualcuno che, se non fosse stato organizzato, sarebbe rimasto solo ed in balia di un Paese ancor troppo occupato a guardarsi indietro. Furono uomini eccezionali perché ebbero la forza di non “piangersi addosso” come avrebbero fatto tanti altri.

E furono ancor più eccezionali perché da tutto ciò non trassero nessun giovamento personale, nessun tornaconto. Lo spirito era quello di servire chi, dalla vita, aveva avuto meno degli altri e questo è lo stesso spirito che, a distanza di 60 anni, ci anima ancor oggi e ci distingue dalle mille organizzazioni che poi sono seguite. La neonata Associazione si diede una organizzazione capillare e territorialmente presente un pò ovunque ed oggi, a distanza di tempo, sono certo di poter affermare che quella della capillarità organizzativa è una delle caratteristiche fondamentali che rendono l’ANMIC ancora vicina ai bisogni ed alle necessità dei suoi associati.

L’organizzazione crebbe a dismisura così come il Paese a quel tempo; l’Italia viveva gli anni del boom economico ed il benessere che fino ad allora era di pochi iniziò a farsi sentire sulla quella classe medio borghese che costituisce ancor oggi l’ossatura del Paese. L’ANMIC passò così dal “chi siamo” al “cosa vogliamo” ed ecco allora che iniziano, per noi come per il resto del Paese, gli anni delle rivendicazioni e delle battaglie. La prima, la seconda e poi la terza marcia del dolore, come se di dolore non ne avessimo avuto abbastanza.

Il movimento degli invalidi crebbe ed iniziò ad avere la consapevolezza della propria forza e la certezza di essere nel giusto: non erano battaglie di retroguardia ma rivendicazioni corrette, richieste giuste e giustificate dalla troppa inerzia vissuta fino ad allora da una politica ancor troppo distratta e disattenta ai bisogni di cittadini che fino ad allora erano considerati di serie B. E dopo aver tanto “marciato”, i primi grandi traguardi, le prime storiche conquiste. Il Paese si accorge che esiste chi non vuole solo il televisore o il frigorifero: vuole essere riconosciuto cittadino come gli altri, un uomo tra gli uomini, con tutti i diritti ed i doveri derivanti dal semplice fatto di essere uomo, donna, bambino.

Dalla pietà al pieno diritto di cittadinanza, dalla commiserazione al riconoscimento di essere un uomo come tutti e dunque con tutti i suoi bisogni e le sue legittime aspirazioni: il lavoro, l’autonomia, la dignità. Ed ancora grandi battaglie, grandi sacrifici, grandi vittorie. Tutto quello che i disabili hanno oggi lo debbono a coloro che si sono inginocchiati sulle piazze e che hanno dato il loro sangue per il miglioramento di tutti, che hanno sfilato su viali gremiti e sotto piogge incessanti per dire al mondo “questo è quello che vogliamo, questo ci spetta di diritto: non ci muoveremo da qui fino a quando non lo otterremo”.

Ed abbiamo sempre ottenuto, forti delle nostre corrette richieste, quello che volevamo e che ci derivava dalla forza delle idee e dalla caparbietà di chi le portava avanti: Lambrilli, Pagano, Pietrella, Quaranta, Bravaccini, Negrini, Mons. Cecchetti, gente che ha fatto la storia di questo Paese, gente alla quale tutto il mondo della disabilità deve tutto ciò che, nel tempo, ha faticosamente ottenuto. Poi gli anni del consolidamento, spesso battaglie per “mantenere più che per ottenere”. Sembrerebbero battaglie di retroguardia ma non sono così perché non sempre è facile mantenere ciò che si è conquistato.

E se oggi possiamo spegnere 60 candeline è perché sulla torta dell’ANMIC non ci sono solo glorie, ma lotte, sacrifici, vessazioni, battaglie di ogni genere. Per me è dunque un momento particolarmente importante e credo lo sia per tutti coloro che hanno voluto bene a questa Associazione alla quale molti hanno dedicato la loro stessa vita. Ma il pugile che ha combattuto un buon round, sa bene che l’incontro non è finito e che, se non vuole rischiare, deve rimettersi in piedi con la stessa grinta del round precedente e dare battaglia fino alla fine.

Quello che ci aspetta non è un momento facile e tutti ne siamo perfettamente consapevoli. La crisi del welfare, il ripensamento dello Stato sociale, le risorse da gestire con oculatezza e spesso parsimonia, le difficoltà emergenti dal mondo del lavoro, un semplicistico egoismo latente ed una politica spesso distratta da battibecchi da cortile: nulla ci fa pensare che il domani sia facile. Ma l’ANMIC che vorrei è quella che guarda a domani con la stessa indomita fierezza dei nostri padri, di coloro che non si sono piegati davanti a una guerra ma hanno saputo uscirne a testa alta consapevoli della durezza ma anche del grande destino che li avrebbe attesi.

Ora è il momento delle strategie del futuro, dei grandi temi ai quali dovremo abituarci e che dovremo affrontare: il “dopo di noi”, l’inclusione scolastica, senza tralasciare quei temi che non sono propri solo del mondo dei disabili ma comuni a tutti noi: una particolare attenzione al mondo del lavoro; consapevoli che dove non c’è lavoro non c’è autosufficienza e dove non c’è autosufficienza non c’è dignità; un costante monitoraggio rivolto ad un mondo accessibile a tutti, dove l’abbattimento delle barriere sia mentale ancor prima che architettonico, dove il poter lavorare, andare al cinema prendendo un autobus o uscire da un supermercato sia possibile a tutti e non si debba avere la mortificazione del “chiedere”, l’umiliazione di chi ci vuol per forza far sentire disabili. Siamo fieri delle nostre disabilità: sono gli altri che debbono vergognarsi di farcele sentire. Voglio guardare al futuro con la certezza di avervi al mio fianco perché non voglio deludervi: deluderei me stesso e questa è l’ultima cosa che non potrei perdonarmi.

Nazaro Pagano

Presidente Nazionale ANMIC